Il calciatore ha lasciato il mondo a bocca aperta con le sue confessioni shock: “Ho toccato le porte dell’inferno”.
Non è il primo. E, purtroppo, inutile negarlo, non sarà neanche l’ultimo. Ciò non toglie che le dichiarazioni che ha rilasciato nelle scorse ore hanno scosso in maniera tangibile il mondo del calcio, non fosse altro per il modo in cui ha deciso di vuotare il sacco.
Fredy Guarin, ex stella dell’Inter, si è messo a nudo, nel vero senso della parola, cercando di dare voce ai problemi che, a quanto pare, lo attanagliano da tempo.Un dramma ancora in corso, il suo, ma dal quale sta tentando disperatamente di uscire.
“Sì, sono alcolizzato”, ha ammesso l’ex giocatore nerazzurro, mettendoci tutta la sincerità possibile per raccontare cosa abbia innescato questo problema e perché non sia ancora riuscito a liberarsi dalle catene di una dipendenza che mette a dura prova tanto corpo e mente.
Ha confessato tutto a semana.com, rivelando di essere attualmente impegnato in un percorso di recupero lungo e complicato al culmine del quale, finalmente, potrà riabbracciare i propri figli e tornare, si spera, a vivere in maniera normale.
Una frase dell’intervista, fra tutte, mette i brividi, non fosse altro perché rende l’idea di quanto possa essere difficile, per i campioni, abituarsi ad una vita senza lo sport. “Quando ho lasciato il calcio – inizia così il suo racconto tostissimo – non sapevo cosa fare, non mi ero preparato un’alternativa. Sono rimasto indifeso e ho preso decisioni sbagliate“.
Il momento più difficile, ammette Guarin, è stato quello in cui ha lasciato il Millonarios Fútbol Club: “È stato il punto più basso che ho toccato – ha detto in merito – sono caduto in fondo alla mia dipendenza.”
L’ex centrocampista colombiano non ha fatto mistero di nulla. Ha raccontato di aver perso non solo la dignità, ma anche la fiducia delle persone che gli volevano bene e, soprattutto, quella dei suoi figli. “Ho fatto molti errori, ho ferito molte persone, ho fatto sentire male i miei cari, la mia famiglia“, ha proseguito nel suo racconto. Per fortuna, ad un certo punto, si è reso conto di quanto la situazione fosse grave: “Non potevo più continuare in quel modo, ho dovuto chiedere aiuto”. A spaventarlo sono stati, dice, la paura di morire e il timore di finire in prigione.
“Ero vicino alla morte, non avevo limiti, non avevo coraggio e mi lasciavo trasportare ogni giorno di più in quel buco: ho toccato le porte dell’inferno”. E se il peggio, adesso, è fortunatamente alle spalle, sebbene di strada da fare ne abbia ancora tanta, lo deve sia alla sua famiglia che ai suoi colleghi.
Ha citato, parlando di loro come di amici veri che gli sono stati accanto nel momento più buio della sua vita, Falcao, James Rodriguez, Juan Fernando Quintero, Ospina, Cuadrado, Zanetti, Córdoba. Perché il calcio, in fondo, è anche questo: amicizia e fratellanza.
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